giovedì 29 maggio 2014

Chi dice che è impossibile.....


mercoledì 28 maggio 2014

I tipi di ansia

Anche se tutti i disturbi d’ansia hanno un meccanismo comune, legato all’ipervalutazione del pericolo, essi possono essere distinti in categorie.

Tra queste rientrano:

l'ansia da prestazione: si manifesta in genere di fronte alla necessità di dover affrontare una performance (un compito al lavoro, un esame a scuola, una gara sportiva, ecc.), ma compare anche nel momento in cui v
iene richiesto al soggetto di affrontare situazioni nuove (come una nuova scuola, un nuovo posto di lavoro, un nuovo partner sessuale, ecc).

l'ansia da separazione: è la forma di ansia che si avverte nel momento in cui ci si separa da qualcuno che rappresenta un punto di riferimento importante. In questa situazione rientrano molteplici meccanismi, che vanno dal timore di non ritrovare più la persona amata, da cui ci si sta separando, alla sensazione che a questa possa accadere qualcosa mentre si è assenti.

l'agorafobia: il termine deriva da agorà (assemblea, riunione, mercato). L’agorà nella polis greca era la piazza centrale, entro la quale si svolgeva tutta la vita politica, sociale e commerciale della città. L’agorafobia viene definita come l’ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi in caso di malore, o nei quali non ci sarebbe possibilità immediata di soccorso. Esempi di situazioni che l’individuo tende ad evitare sono viaggi in treno, ristoranti, negozi affollati, cinema, teatro, chiese, gallerie, ecc.

l'ansia sociale: chi soffre di ansia sociale tende a sentirsi estremamente a disagio quando si trova in mezzo ad altre persone; in questa forma di ansia spesso le relazioni vengono vissute come minacciose, e quindi il soggetto tende ad evitarle il più possibile. Ci si sente inadeguati quando ci si deve confrontare con gli altri, e pertanto è meglio limitare le relazioni (e quindi il confronto stesso). Ciò dà luogo ad atteggiamenti di evitamento di tutte quelle situazioni sociali, dallo sport alle feste, sino alla frequenza a scuola.

Molte persone provano un certo imbarazzo, o disagio, in certe situazioni sociali, ma chi soffre di ansia sociale non si sente semplicemente in imbarazzo o a disagio: non si sta parlando di semplice timidezza. Queste persone avvertono che qualunque cosa faranno o diranno verrà attentamente valutata dagli altri, con esito probabilmente negativo. E’ un meccanismo fortemente legato alla propria autostima deficitaria.

Il timore di questi soggetti è legato soprattutto ad alcune circostanze: mangiare in pubblico, parlare in pubblico, firmare davanti a qualcuno, stringere la mano a qualcuno, telefonare a qualcuno, ecc. L’ansioso sociale è quindi sensibile a tutte quelle situazioni in cui si sente esposto allo sguardo altrui. Spesso uno sguardo anche casuale basta per gettarlo nel panico. L’ipersensibilità verso i movimenti oculari porta questi individui a sentirsi piuttosto a disagio nelle situazioni in cui potrebbero venire osservati.

Chi soffre di ansia sociale ha il costante timore che gli altri lo giudicheranno strano, ansioso, debole o peggio ancora stupido. Affrontare le relazioni sociali con questi presupposti non aiuta di certo il soggetto ad essere rilassato: al contrario queste persone appaiono (e si sentono) piuttosto goffe e rigide quando interagiscono con gli altri.

l'ansia che nasce a seguito dell'utilizzo di sostanze come la caffeina, la cannabis, la cocaina o indotta da l'utilizzo di farmaci come quelli ipnotici o sedativi.

Il disturbo ossessivo-compulsivo: si tratta di un disturbo d'ansia caratterizzato dalla presenza costante di ossessioni, pensieri ripetitivi a volte privi di senso, e compulsioni, ovvero comportamenti che la persona si sente costretta a ripetere per diminuire lo stato di ansia. Il controllare più volte se si è spento il gas o il lavarsi ripetutamente le mani per paura di contrarre infezioni, ne sono un esempio.

Nelle forme di ansia rientrano anche gli attacchi di panico, il disturbo di ansia generalizzata e il disturbo post-traumatico da stress:

- Gli attacchi di panico sono caratterizzati dalla comparsa improvvisa di sensazione di angoscia unitamente a sintomi fisici come tachicardia, iperventilazione e senso di soffocamento. La persona che vive l'attacco di panico può avvertire anche sintomi come la sudorazione profusa, il dolore toracico, nausea e giramenti di testa. Questi sintomi sono accompagnati dalla sensazione che stia per succedere qualcosa di drammatico, come il sopraggiungere della propria morte.

- Il disturbo d’ansia generalizzato caratterizzato da uno stato emotivo di continua preoccupazione e attesa di fonte a situazione per le quali tale atteggiamento non risulta essere giustificato

- Il disturbo post-traumatico da stress che sopraggiunge dopo un trauma, un'esperienza dolorosa o di sofferenza vissuta direttamente o indirettamente. E' un disturbo che può insorgere a seguito di una serie di eventi traumatici di natura molto diversa come le aggressioni, le violenze fisiche o psicologiche, gli incidenti, i periodi di prigionia o le calamità naturali, ossia tutti quegli eventi che hanno cambiato per un determinato periodo di tempo la vita di chi vi è stato partecipe in maniera dolorosa e violenta.

Chi soffre di disturbo post-traumatico da stress manifesta atteggiamenti di maggiore distacco verso le persone unitamente ad un aumento di aggressività ed irascibilità, oltre alla sensazione di rivivere l' esperienza traumatica durante l'arco della giornata o durante il sonno.

dal sito : http://www.medicitalia.it/

domenica 25 maggio 2014

Storie di panico - Alberto



Non starò a raccontarvi la genesi dei miei attacchi di panico e la storia di questi anni chiusi e maledetti. Le nostre storie sono varie nei particolari ma uniche nella sostanza. Ho cominciato a soffrire di panico a 20 anni, ora ne ho 34 e in questo tempo ho perduto un’infinità di cose: amori, lavori, amici, fiducie e speranze. I primi due anni li ho spesi alla ricerca spasmodica e infruttuosa di una causa organica alle devastanti crisi che mi colpivano, in questo tempo ho costruito una piramide rovesciata di nevrosi e fobie, una montagna che ho spostato a mani nude ma che non sono mai riuscito a scalare per vedere cosa mai si nascondesse sulla cima. Quando è arrivata la diagnosi ritardata di Dap, non ero già più il ragazzo che ero sempre stato; quei due anni sono bastati a divenire, forse per sempre, un altro. Così, l’attacco di panico ha modificato il dentro e il fuori di me stesso e oggi mi identifica come una sorta di “segno particolare” impresso su un documento. Neanche questo mi interessa dirvi (e non interesserebbe nemmeno a voi). Ciò che mi preme discutere  è la distinzione che esiste tra la causa, la sintomatologia e la vera e propria sindrome da attacchi di panico che i medici chiamano  “disturbo”. Non sono uno psicologo, dunque cercherò di usare un linguaggio semplice ma il più possibile verosimile. La causa è la nostra vita: ciò che siamo, che abbiamo fatto da quando siamo nati, emozioni, pensieri, traumi, esperienze e soprattutto – è bene ricordarlo – tutto quello che si svolge al piano di sotto, vale a dire nel nostro inconscio che decide per noi senza possibilità di appello né contraddittori. Il sintomo (la sensazione di morte imminente con tutti i suoi corollari) è il linguaggio che il nostro cervello usa per dirci che qualcosa non va. La sindrome è la presenza di tutti o quasi i sintomi, le loro modalità di manifestazione, le fobie dell’evitamento (il vero nemico che degrada la nostra vita a una fuga continua, grottesca e inutile). Ma nonostante tutto, chi soffre di panico (o ansia o agorafobia o le tre cose insieme) si concentra di più sul sintomo, sulla crisi, e molto meno sulla causa che può averla scatenata. Il vecchio Freud la definiva “resistenza”: quanto più ci si avvicina alla causa tanto più il nostro inconscio si preoccupa di far fallire la lotta, mette delle vere e proprie bombe lungo la strada che ci separa dalla soluzione del problema. Non guariremo finché non saremo disposti a spogliarci delle nostre dure convinzioni, delle persone che abbiamo accanto (se non fanno per noi), dei ricordi, del dolore. Io per primo mi tengo il passato dentro, ben protetto, al punto che oggi è divenuto il mio vero presente. Quando tutto cambia intorno a me, io non riesco a mutare e mi ritrovo fermo su una banchina a veder passare migliaia di treni senza prenderne mai uno, ben sapendo che non faranno più ritorno. Così, il tempo mi diminuisce accanto e vivo di una vita che non c’è più, e cammino lungo strade che hanno cambiato nome, e divento giorno dopo giorno inattuale. Le persone che fino a un attimo prima avevo avuto accanto spariscono esauste e deluse non tanto dalla nostra malattia quanto dalla convinzione che il nostro male nasconda in realtà una mancanza di amore nei loro confronti. Ho pianto lacrime di vetro, ho atteso su una panchina improbabili ritorni, nessuno è tornato, nessuno mai ritorna. Ah, se non mi fossi concentrato sulla crisi ma fossi andato a fondo alla ricerca del motivo primario! Forse oggi sarei io a prendere quel treno su cui ho sognato ogni notte ma che ho abbandonato l’indomani prima che partisse.
Alberto

mercoledì 21 maggio 2014

Storie di panico - Giovanna



                              

Avevo 28 anni, tutto mi sorrideva,ero giovane, una bambina bellissima di 3 anni, un marito che mi voleva bene , tanti amici e all'improvviso il buio più totale! Ricordo il mio primo attacco di panico non sapevo cosa mi stesse succedendo...ero ad una festa con gli amici e tutti insieme ci divertivamo, quando all'improvviso incominciai a sentire le voci sempre più indistinte, un senso di nausea, la testa vuota, un ghiaccio scorrermi al posto del sangue, il cuore che batteva all'impazzata, la vita uscirmi dalle dita, mi sentivo come sotto una campana di vetro, non sapevo cosa mi stesse succedendo, mi impaurii e lo dissi a mio marito. Dopo un poco svanì lasciandomi come stordita. Questo è stato la prima volta, per poi ripetersi sempre più spesso e per tempi sempre più lunghi. Che ne sapevo io, così giovane e poi tanti anni fa di attacchi di panico? A quei tempi non se parlava come adesso, incominciai ad andare dal mio medico di famiglia, goccette ansiolitiche che io prendevo ma appena stavo meglio toglievo di mia iniziaativa senza sapere che da soli non bisogna fare niente, si deve sempre ascoltare la parola del medico e quindi dopo poco ricominciavo. Nella mia vita avrò fatto non sò quante ecografie, analisi, tac, risonanze magnetiche, gastroscopie, colonscopie. Un giorno mi sembrava di avere un tumore al cervello, un altro giorno allo stomaco e così via. Ho passato più tempo negli ambulatori dei dottori che a divertirmi. La mia vita è stato un correre tra lavoro, figli e dottori, per anni non ho vissuto ma sono sopravvissuta, non ho provato mai gioia, tutto mi scorreva così senza nessuna emozione, neppure il matrimonio di mia figlia e la nascita di due bellissimi nipotini mi riportava alla vita, tutto mi scivolava addosso.Perchè racconto tutto questo?...perchè voglio dire a chi incomincia ad avere questi sintomi di affidarsi ad un bravo medico e a un terapeuta e se serve farsi aiutare anche dalle medicine e di seguire tutto questo fino in fondo, insomma di non fare come me. Oggi sono ritornata alla vita e mi ripeto che se mi fossi curata meglio, se mi fossi messa nelle mani di persone competenti e non avessi sempre fatto di testa mia non avrei specato la mia vita, perchè la vita è bella è un dono meraviglioso! Quindi forza,lo dico specialmente ai giovani, voi siete più forti di questa malattia dell'anima che vi fa soffrire molto andate da chi vi sa curare e vedrete che sarà dopo solo un brutto ricordo. Auguro a tutti quelli che stanno percorrendo questo tunnel buio di vedere presto la luce.

Giovanna