venerdì 28 agosto 2015

Linus e la strategia di evitamento

La strategia di evitamento è un tema caro alla psicologia, in particolare agli esperti del settore che si occupano di ansia sociale, disturbi evitanti di personalità, fobie specifiche, attacchi di panico e ansia generalizzata.
Aldilà degli inquadramenti diagnostici, l’evitamento è una strategia che a tutti è capitato di mettere in atto, anche quando non è un tratto distintivo della personalità. L’evitamento non ha solo una connotazione negativa, infatti permette di allontanarci da una situazione di pericolo o di minaccia reale.
Perde il suo valore adattivo quando si trasforma in una soluzione coercitiva, che limita le possibilità di esplorazione.

Cos’è che cerchiamo di evitare?
Quando temiamo le conseguenze di una decisione, o se non ci sentiamo sufficientemente competenti, o abbiamo il timore di sbagliare, ecco che la soluzione migliore diventa una non-soluzione. Ad esempio, ci chiediamo: “Che cosa succederebbe se non superassi l’esame all’università? O se non riuscissi a portare a termine quel compito come vuole il mio capo-ufficio? O se uscissi con quella persona e non sapessi cosa dire?” Più lo scenario che ci immaginiamo sarà catastrofico, più tenderemo a evitare le tragiche conseguenze che si disegnano nella nostra mente. Il motto di Linus è infatti un vero e proprio mantra per chi utilizza questa strategia come paradossale soluzione: non esiste problema che non possa essere evitato.
 Gli effetti collaterali sono però dietro l’angolo.  

Più evitiamo le situazioni, meno ci sentiremo efficaci, e questo andrà a rinforzare l’idea che non siamo in grado di metterci in gioco. Inoltre, nel momento in cui decidiamo di evitare, l’ansia derivante dal rimuginio tenderà a diminuire, regalandoci un immediato senso di sollievo e facendoci credere che la strategia protettiva è stata efficace, perché ci allontana momentaneamente dallo stato emotivo negativo.
Questa vignetta può essere molto utile per aumentare la consapevolezza su questi meccanismi, che spesso diventano automatici, e per aprire il dialogo verso la ricerca di soluzioni alternative più funzionali.

State of Mind 

mercoledì 26 agosto 2015

Stanchezza e panico: il 45% dei lavoratori digitali soffre di tecnostress

I sintomi vanno dalla mal di testa alle difficoltà di concentrazione, dagli sbalzi d’umore tendenti al nero alla stanchezza e possono sfociare in ansia, attacchi di panico e anche gastrite. Ne soffre, secondo una ricerca di Netdipendenza Onlus a cui ha collaborato l’Associazione italiana formatori salute e sicurezza sul lavoro (Aifos) e che è stata anticipata dall’Adnkronos Salute, il 45% degli italiani che usano per lavoro dispositivi elettronici. Il fenomeno va sotto il nome di tecnostress, riconosciuto dal 2007 come malattia professionale dalla magistratura di Torino.
La dittatura di notebook, spartphone e tablet
Lo studio ha riguardano 1.005 lavoratori mobili che, ogni giorno, hanno a che fare con computer portatili, ma soprattutto con smartphone e tablet. Di questi, il 18,4% li utilizza per 8 ore al giorno, il 9,8 per 10 ore e il 6% arriva anche a 12-16 ore. Il 64,1% trascorre 30 ore al mese (week end compresi) conversando tramite lo smartphone, e tra questi c’è chi tocca picchi di “6 ore al giorno, con pause di 30 minuti”. Meno diffuso, per il momento, invece l’uso dei tablet, considerando che il 36,9% degli intervistati ha dichiarato di utilizzarlo per un’ora al giorno mentre i picchi non superano le 4 ore.
Il 90% dei lavoratori non stacca nei week end
Gli effetti? Intanto non riuscire mai a staccare davvero con il lavoro, dato che i dispositivi mobili seguono i loro utenti anche a letto, la sera, nel 66,5% dei casi mentre si sale al 90% se si considera chi vede invasi anche i propri sabati e domeniche. Che non sia una pratica di vita salutare dal punto di vista dell’inquinamento elettromagnetico lo sa il 65,5% dei lavoratori digitali e l’87% delle persone denuncia stanchezza mentale a causa della non stop professionale.
La diffusione dei sintomi della malattia
C’è però chi sta peggio. Nell’indagine – che sarà presentata domani, 15 maggio, presso la sede dell’Inps di Anagni (Frosinone), nell’ambito del convegno “TecnoStress lavoro correlato, la nuova frontiera della malattia professionale” – il 44,5% dichiara di essere bersagliato dal mal di testa, il 35,4% dal calo della concentrazione, il 33,8 da nervosismo e alterazioni dell’umore e il 28,5 da tensioni neuromuscolari. Tra i disturbi seguono stanchezza cronica (23,3%), insonnia (22,9%), ansia (20,4%), disturbi gastro-intestinali (15,8%) e dermatite da stress (6,9%). Non mancano infine problemi come alterazioni comportamentali (7,1%), attacchi di panico (2,6%) e depressione (2,1%).
“Valutare impatto di sovraccarico informativo ed elettrosmog”
A commento di questi dati, dice Enzo Di Frenna, presidente di Netdipendenza Onlus: “Molti sintomi dell’elettrosmog sono simili a quelli del tecnostress, come ad esempio il mal di testa, il calo della concentrazione, l’insonnia. Bisogna approfondire l’impatto di questi due rischi e valutare correttamente il sovraccarico informativo cognitivo e i livelli di emissioni di campi elettromagnetici. È questa la nuova sfida da affrontare per difendere la salute dei lavoratori digitali”.

Consumatrici.it 

giovedì 20 agosto 2015

Storie di panico: Francesca e i suoi sogni-Farmaci e Psicoterapia



Ho deciso di iniziare la cura con i temutissimi farmaci che fino ad oggi ho evitato con tutta me stessa. Come mi sento? Strana sicuramente. Stamattina presto, al solo pensiero di ingerire quelle sconosciute gocce mi era presa una paura assurda. Il solito dolore lancinante allo stomaco che non passa mai. L’ansia mi bussava da dentro facendomi male, bloccandomi. Ma forse è stato un bene. Con i suoi modi bruschi e prepotenti voleva parlarmi, aggredirmi. Mi ha urlato qualcosa di incomprensibile, ma io ho finalmente trovato il coraggio di dirle “BASTA!!! Mi stai devastando da mesi e mesi. Di giorno, di notte, da sola, in compagnia, mentre mangio, leggo, cammino, persino quando sogno. Forse mi risparmia nei pochi momenti piacevoli della cucina e della scrittura. Io invece voglio spasmodicamente tornare a vivere. Non lo so se sarò mai come prima.
Quando a ciel sereno ti sovrasta all’improvviso un tornado di quelli estivi di origine tropicale che proprio non avevi calcolato, hai due possibilità. Restare ferma ad aspettare che passi presto con tutta la sua violenza cattiva e distruttrice, sperando che non ti uccida e cercando magari pur nella tempesta un punto di rifugio, oppure muoverti per schivarlo, magari sconfiggendolo in rapidità prima che ti invischi e ti avviluppi a sé. Ecco a un certo punto ho cercato di fare questo per liberarmi dalla "bestia nera" che si chiama ANSIA di nome e PANICO di cognome. Ho fatto psicoterapia per quasi un anno portandomi dietro i miei schemi settimanali scritti su foglietti strappati dove disegnavo qua e là sorrisi, perché piccoli momenti di tregua al dolore sono riuscita comunque a ritagliarmeli con caparbietà. Sono stata accolta e ascoltata da una persona meravigliosa che mi ha aperto le braccia, ma soprattutto il cuore e le orecchie come se fossi una bimbetta che ha smarrito di notte le chiavi della propria casa. Ho ripercorso la mia vita, o almeno ho iniziato a farlo, soffermandomi sui momenti di dolore più acuti che tutti gli esseri dotati di un’anima hanno avuto o avranno. Non si possono cancellare, questo è indubbio. Sono troppo parte di me ma si può andare avanti per noi stessi e per chi ci ama anche così fragili e impauriti. Il segreto per quanto mi riguarda è uscire dal vittimismo e riprovare a respirare. I farmaci li accetto perché voglio e desidero stare calma, godermi in santa pace un tramonto, un bagno al mare, una cena con il mio ragazzo, un caffè con le amiche di una vita, giocare come una matta con la mia nipotina, vedermi un film d’amore in attesa trepidante del finale, che spero sia lieto, e di piangere, poi, come sempre immedesimandomi nelle storie più fantasiose che siano mai state scritte o solo immaginate.

Francesca

sabato 1 agosto 2015

Caldo, la psicologa: "Potente fattore di stress, aumenta l'aggressività"



<p>(Infophoto)</p>

A livello di semplice buon senso "molti sono convinti che il caldo influisca negativamente sul nostro equilibrio psico-fisico. Effettivamente oltre al fattore termico in sé, che agisce direttamente sul nostro sistema nervoso, occorre considerare anche il ruolo di 'stressor' aspecifico che assume il caldo eccessivo, e l’influenza della stagione estiva sulla ciclicità di alcune gravi patologie psichiche, come la depressione, la ciclitimia, la bipolarità. Agendo come un potente fattore di stress, il caldo è dunque responsabile di comportamenti aggressivi e impulsivi tipici di ogni circostanza stressante, che allenta le nostre capacità di controllo rispetto agli stimoli ambientali negativi". A far luce sul legame tra canicola e aggressività è Paola Vinciguerra, psicoterapeuta presidente Eurodap, Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico.

Il nostro sistema nervoso "è sensibile all'aumento di temperatura, al tasso di umidità e alle ore di esposizione alla luce. Questi tre fattori agiscono come un detonatore negli individui con un equilibrio fragile dal punto di vista psicologico-relazionale. Come tutti i fattori di stress, quindi, l'insofferenza al caldo estivo può manifestarsi anche con comportamenti ostili e aumento dell'aggressività. Le alte temperatura e l'umidità agiscono sui sistemi neuroendocrini. Da una parte, il caldo stimola l'attività del glutammato, neurotrasmettitore che esercita una potente azione eccitante sui circuiti cerebrali, dall'altra viene ridotta quella del Gaba il mediatore chimico che ci rende tranquilli e rilassati".
Inoltre lo stress termico "incide sull’equilibrio critico e comportamentale anche indirettamente, attraverso la perdita di sonno ed il sovvertimento dei nostri ritmi biologici. Dormire male - prosegue l'esperta - non significa soltanto dormire poco ma anche subire un’alterazione della qualità del sonno che, per essere davvero ristoratore, ha bisogno di conservare la concatenazione delle sue fasi naturali, la cosiddetta architettura del sonno. Nella situazione di elevate temperature che stiamo vivendo si registra un grande aumento di persone sofferenti di attacchi di panico. La sensazione di spossatezza, affaticamento nel compiere anche azioni banali, talvolta giramenti di testa, difficoltà di attenzione scatena, in persone che già vivono nel l'ansia di un accadimento negativo, la convinzione che nel loro corpo stia avvenendo qualcosa di grave, di minaccioso. Da lì allo scatenamento di un attacco di panico il passo è breve".
Ecco dunque qualche consiglio mirato:
1) quando la sensazione di stanchezza e spossatezza aumenta, prendetevi del tempo mentale in cui visualizzare qualcosa di fresco e piacevole: ad esempio un prato con una cascata, oppure una brezza; respirate lentamente con il diaframma, entrate nella vostra visualizzazione, per rilassare le tensioni e abbassare il livello di adrenalina.
2) prestate attenzione alla vostra sensazione soggettiva di fatica e adeguate gli sforzi in base ad essa. Non costringetevi al di là di quello che il vostro fisico può affrontare.
3) non affrontate situazioni conflittuali in questo periodo, valutate attentamente le conseguenze rispetto a espressioni aggressive proprie e altrui.
4) evitate, quando possibile, di esporvi ad ulteriori agenti stressanti.
5) pianificate la giornata tenendo in considerazione la situazione reale e non seguendo unicamente ciò che si deve fare o ciò che desiderate fare.
6) bevete frequentemente per evitare il rischio di disidratazione, in quanto "può avere conseguenze anche sull'umore e sul comportamento".

Adnkronos